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IN TEMA DI FINE LAVORI PARZIALE. CONSEGUENZE IN TERMINI DI DIRITTI E DI DOVERI.

Un tema che si ripropone con una certa frequenza è quello del mancato completamento dei lavori. In particolare, e quando si tratta di interventi sul patrimonio edilizio esistente, il mancato completamento dei lavori genera una serie di interrogativi cui cercherò di dare una risposta.

Ad esempio, avrò diritto alla restituzione del contributo di costruzione? Nel presentare un nuovo progetto, lo stato di fatto sarà quello preesistente o quello successivo che tiene conto anche dei lavori effettuati e non completati? Cosa succede alla destinazione d’uso se il titolo edilizio che autorizza la trasformazione edilizia non viene completato? Se intendo fare lavori radicalmente diversi da quelli originariamente previsti (anche eventualmente con una diversa destinazione d’uso) e presento una variante sostanziale, debbo prima dare una fine lavori parziale per i lavori sino a quel momento effettuati?

Cercherò di dare qui delle risposte sintetiche, ciascuna delle quali necessita di un approfondimento.

Il T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 23 luglio 2020, n. 1418 ha affrontato l’argomento e ha, in quel caso, chiarito che il Comune di Milano deve restituire la parte del contributo di costruzione relativa alle opere non realizzate.

Se non si vuole ripristinare lo stato dei luoghi preesistente sarà bene dare una fine lavori parziale, identificando le opere realizzate e le destinazioni d’uso consolidate. In questo caso sarà anche bene dichiarare l’agibilità dei locali completati.

Se i lavori fatti non sono stati funzionalmente completati, ci si troverà di fronte ad una decadenza parziale (ad esempio, se il cantiere è stato abbandonato per crisi economico-finanziaria del titolare) oppure di fronte alla presentazione di una variante in corso d’opera. I due casi sono alquanto diversi.

In caso di decadenza le opere realizzate sono legittime e pertanto non possono, certo, essere oggetto di repressione di abusi edilizi. L’immobile (unità edilizia o unità immobiliare), tuttavia, potrebbe non essere agibile e, quindi, essere oggetto di provvedimenti del Comune (ad esempio, in Lombardia sia il comune di Milano che la Regione, con la L.18/2019, hanno posto norme in merito al patrimonio edilizio dismesso con criticità).

La variante, al contrario, se sostanziale, costituisce un nuovo titolo edilizio che però avrà come stato di partenza quello originariamente rappresentato nel titolo edilizio che si intende variare. Quindi, anche in tema di destinazioni d’uso, non essendosi consolidato il cambio eventualmente previsto, si deve partire dalla destinazione originaria. Ciò rileva molto in casi di modifiche normative sopravvenute al rilascio del titolo originario (ad esempio in merito al carico urbanistico delle diverse destinazioni).

Posso ora concludere in merito agli effetti del decorso del tempo. L’orientamento giurisprudenziale in merito alla decadenza è ondivago. In alcuni casi si continua ad affermare che la decadenza operi per il semplice decorso del tempo (cfr. Cons. St., IV n. 2915 del 2012) e che, pertanto, il provvedimento del Comune che la sancisce abbia un effetto dichiarativo. In altri casi si è detto che solo con il provvedimento del Comune si ha l’effetto decadenziale (si v. Cons. St., VI n. 5285/2017 e, da ultimo, Cons. St., II, n. 2206/2020). In altre parole, i lavori che vengono effettuati dopo la scadenza del termine sono abusivi se la decadenza opera automaticamente. Sono legittimi se la decadenza opera solo con il provvedimento comunale.

Ritengo che la norma (art. 15 D.P.R. n. 380/2001) debba essere interpretata (ai sensi dell’art.12 delle “disposizioni sulla legge in generale”) in senso letterale e dalla sua lettura si evince che con lo spirare del termine il titolo decada. Non sarà, pertanto, necessario un provvedimento del Comune e i lavori effettuati dopo la decadenza sono, a tutti gli effetti, abusivi.

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